Alla tavola rotonda di apertura dello Iab Forum 2009 il viceministro allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni Paolo Romani era in predicato di esserci ma, come già accaduto nella tappa romana di luglio, la sua presenza si è materializzata solo attraverso un comunicato letto alla platea. Le rassicurazioni circa i necessari investimenti in banda larga e i progetti mirati a costruire una società digitale strutturata e funzionale non sono mancate ma l’assenza fisica della figura istituzionale è stata evidenziata (in toni negativi) più volte. Come dire: perché si parla a più riprese di nuove tecnologie, e di Internet nel caso specifico, come una risorsa insostituibile e quando c’è l’occasione di farlo fra gli addetti ai lavori le priorità di chi governa diventano ben altre? E quindi vero che la politica si interessa troppo poco, e male, alla Rete? Su questo “fil rouge” si è sviluppato il dibattito “Il futuro dell'economia digitale in Italia” che ha visto come padrona di casa Layla Pavone, presidente di Iab Italia. Da lei, prima a prendere parola, è arrivato un invito alla concretezza e la precisa richiesta di “un maggiore equilibrio nei finanziamenti ai media. Vanno sostenute – ha detto Pavone - non solo Tv e non solo certe testate cartacee ma quei siti di informazione su Internet meritevoli di attenzione. L’impatto a livello socio-economico che Internet ormai ricopre è evidente e il settore della comunicazione on line sta vivendo un momento di transizione, in cui è vitale riuscire a trovare una piattaforma strutturale e organizzativa per trasformarsi concretamente in un comparto economico fortemente rappresentativo. La certezza che abbiamo oggi è che si tratta di uno dei pochi settori che registra una crescita a doppia cifra”.
Da Paolo Gentiloni, onorevole del Pd ed esponente della Commissione Trasporti della Camera dei Deputati, è arrivata una sorta di pubblica ammissione: “l’establishment politico, economico e mediatico non è troppo interessato alla Rete? É vero, ma ha cominciato a capirne l’importanza” Poi ha delineato tre compiti che le istituzioni devono dimostrare di poter assolvere: “completare la possibilità per tutti i cittadini, come succede in tutta Europa, di accedere al Web entro il 2011/2012. Anche a banda media, anche a 4 o 6 megabit. Accelerare sulle reti di nuova generazione partendo da selezionate aree metropolitane e considerare il ruolo a supporto delle municipalizzate. Lasciare, infine, che la Rete possa avere libera espressione e libero sviluppo, benché regolamentata”. E l’infinita querelle, anche politica, dei fondi necessari in carico al Cipe (800 milioni di euro che devono diventare 1,5 miliardi) per colmare il digital divide? La risposta di Gentiloni è assai circostanziata: “sono a Palazzo Chigi, non al Ministero dell’Economia”. Come dire, le infrastrutture per la banda larga si fanno se lo decide il premier, non Tremonti.
A fare la parte dei consumatori, a Iab Forum, ci ha pensato invece Marco Pierani, responsabile Relazione Esterne Istituzionali di Altroconsumo. Dove sta il baco tutto italiano di una società digitale che fa fatica a strutturarsi? “Non siamo un Paese per Internet. Stanziare 800 milioni di euro non basta di certo a risolvere del tutto il problema infrastrutturale perché c’è un divario digitale culturale e di connessione. Serve una mossa a livello di sistema Paese, la banda larga è solo un aspetto”. Quindi il prevedibile paragone con la Tv: “è la televisione che deve diventare come Internet e non viceversa. Il processo di digitalizzazione del sistema Italia, così come la migrazione al digitale terrestre, deve essere aperta e non condizionata a precisi disegni politici”.
L’affondo più incisivo nei confronti di governo e istituzioni in genere è arrivato comunque da Carlo Poss, presidente di Assointernet, l’Associazione che raduna le concessionarie di pubblicità che operano on line. “Cosa serve? Concretezza. Tre esempi: l’Iva applicata sulle campagne su Internet è al 20%, perché non ridurla l 4%. Quando mai c’è stata un’azione mirata per incentivare fiscalmente l’e-commerce? Il ministero del turismo ha investito 10 milioni di euro in una campagna promozionale in Tv, snobbando quasi del tutto la Rete: perchè? Non c’è volontà politica di ostacolare la Rete – questo il messaggio confezionato da Poss - ma incompetenza e incapacità sì. Ed è preoccupante”.
La politica è quindi la zavorra di un percorso digitale che dovrebbe portare l’Italia a sentirsi un Paese in linea con i modelli del Web 2.0? Senza entrare nel merito di chi è la colpa del nostro divario tecnologico anche Luigi Perissich, Direttore Generale di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, ha sottolineato come il Paese “è in ritardo nella Pa, nelle scuole, nella sanità e anche a livello di imprese, perché l’innovazione tecnologica è ancora poco associata allo sviluppo del business. I progetti del Governo, eGov 2012 per esempio, hanno bisogno di risorse finanziarie dedicate e intanto sono stati persi nel primo semestre 2009 circa 70mila posti di lavoro nei servizi innovativi rispetto alo stesso periodo del 2008. L’innovazione digitale genera valore e ritorni anche in termini di Pil, è un fatto provato dai dati. Un programma di incentivi – ha concluso Perissich, è doveroso ma non è l’unica azione necessaria”.
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